Comunicare e conoscere nella cybercultura

Floriana Falcinelli

 

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In una società che sta divenendo sempre più virtuale, dominata dal flusso veloce delle informazioni che passano attraverso reti interconnesse ogni giorno più complesse, si assiste ad una trasformazione radicale delle relazioni sociali, delle stesse modalità con cui ci poniamo di fronte alla realtà.

Assistiamo a cambiamenti profondi: nelle cose, nei pensieri, nei rapporti, nella coscienza; nel giro di pochi anni l’intero scenario dei saperi e delle abitudini umane si è radicalmente trasformato.

La stessa rete si è trasformata diventando Web 2.0 spazio sociale condiviso dove la comunicazione tra pari , lo scambio di saperi, opinioni ma anche emozioni è diventata per molti esperienza sociale connettiva, più reale e vitale dell’esperienza di relazione quotidiana .

I confini dunque tra reale e virtuale si assottigliano fino a confondersi nell’esperienza delle persone che si muovono tra queste due dimensioni in continuità.

La dimensione del virtuale porta con sé anche l’idea di una nuova cultura , una cultura che vede il cyberspazio come pratica di comunicazione interattiva, reciproca, comunitaria ed intercomunitaria a cui ogni essere umano può partecipare e contribuire.

Una delle idee più forti della cybercultura è la necessità di estendere e generalizzare la connessione a tutti gli oggetti e le persone del mondo.

Grazie a questo, si costituiscono delle comunità virtuali, gruppi di persone che condividono interessi, conoscenze, progetti e che entrano in rapporto di cooperazione e scambio, indipendentemente dalla vicinanza geografica o dall’appartenenza ad una certa istituzione.

E’ la logica del social software, dei social network. Si costruisce un nuovo modo di entrare in relazione, che non può certo sostituirsi al modo di relazionarsi fisicamente, ma che lo integra e in qualche modo lo reinterpreta.

La costituzione di comunità virtuali è la base per accedere alla costruzione di quella che Lévy chiama “intelligenza collettiva”, cioè la possibilità di mettere in sinergia i saperi, le immaginazioni, le energie spirituali di chi si connette, nella prospettiva valoriale e idealistica dell’autonomia di ogni persona e del riconoscimento e rispetto dell’alterità, nonché dello sviluppo dell’intercreatività, capacità di costruire forme originali di esprimersi , di rielaborare l’esperienza anche di costruire una nuova idea di mondo , grazie al contributo di tutti coloro che partecipano alla comunità.

D’altra parte nel cyberspazio esiste un sistema del caos, un’universalità senza chiusure totalizzanti, cha sa accogliere tutte le opacità di senso. Nella cybercultura cambia il rapporto con il sapere. Non esiste più l’idea di un sapere fisso, immutabile.

L’emergere del cyberspazio non significa assolutamente che ‘tutto’ sia finalmente accessibile, quanto piuttosto che il tutto è definitivamente fuori portata. Noi abbiamo tutti bisogno - istituzioni, comunità, gruppi umani, individui - di costruire il senso, di crearci zone di familiarità, di addomesticare il caos-ambiente.

Ma, da un lato, ciascuno deve ricostruire delle totalità parziali a modo suo, secondo i suoi criteri di pertinenza. Dall’altro, queste conquistate zone di significato devono per forza essere mobili, mutevoli, in divenire.

In rete la comunità si riappropria di un sapere che il libro scritto, le biblioteche, avevano deterritorializzato; è una nuova oralità che punta alla costruzione di un albero comune del sapere, continuamente ridefinito e ridisegnato grazie all’apporto di ciascuno, un albero di conoscenza di una comunità che cresce e si trasforma a seconda dell’evoluzione delle competenze della comunità stessa.

Ma questo sapere non garantisce una crescita autentica dell’uomo: infatti non è sufficiente disporre di strumenti tecnologici sofisticati, sempre più perfetti, di un numero sempre più grande di informazioni, perché si possa parlare di formazione.

La formazione è quel processo mediante il quale una persona, utilizzando le conoscenze, i saperi, la cultura diviene capace di trovare la “propria forma”, cioè di realizzare al massimo tutte le proprie potenzialità di soggetto attivo, creativo, capace di pensare e agire in modo libero e responsabile.

Almeno in termini potenziali le recenti innovazioni tecnologiche consentono, ad un numero sempre maggiore di individui, di non essere dei fruitori passivi di cultura, ma anche produttori attivi.

Però lo scenario culturale attuale, che si contraddistingue per la diffusa iperinformazione, consistente nella moltiplicazione di messaggi e di opportunità, non sempre è in grado di offrire al ricevente capacità appropriate per reagire in modo attivo.

Accanto a nuove forme e spazi di personalizzazione ed individualizzazione dei consumi culturali, si accentua il fenomeno opposto di consumo passivo di messaggi, specie da parte delle fasce più deboli della popolazione.

Da un lato, quindi, crescenti opportunità, dall’altro nuovi ambiti di marginalità e nuove forme di analfabetismo. Da tutto ciò emerge la necessità di un forte impegno educativo. In generale si può dire che esso consiste in un processo di consapevolezza culturale e di conquista di una reale competenza digitale.

Ma è anche, e soprattutto, un processo di personalizzazione, e cioè la conquista della propria identità personale, che non è per l’uomo un fatto spontaneo, ma è qualcosa che giunge dopo un lungo e faticoso cammino e grazie ad una precisa progettualità educativa.

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