Fuga dalla manualità, potere ai simboli

Tullio De Mauro

 

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La pervasività delle tecniche informatiche e l’incalzare di loro nuove applicazioni, che appena ieri parevano fantascienza, mettono in questione assi portanti del nostro vivere, specialmente nei paesi più ricchi e, ancor più specialmente, nell’ambito dell’educazione e formazione.

Mano e parola, esercizio della manualità e conquista del linguaggio sono stati fattori decisivi per la vita delle comunità umane e per lo sviluppo della mente. Riconoscere la complementarità e l’intreccio dei due fattori non appartiene soltanto alla riflessione di grandi pensatori, da Aristotele a Hegel, è anche il risultato delle indagini di scienze moderne dalla paleoantropologia alle neuroscienze.

Oggi complementarità e intreccio appaiono a rischio.

Una parte delle riflessioni in proposito insiste sull’ipotesi di effetti negativi che l’esposizione a mezzi informatici avrebbe per le intelligenze.

Internet rende stupidi, si è proclamato. Ma questa sentenza e l’ipotesi pessimistica possono essere e sono state smentite in modo motivato da diverse numerose indagini oggettive.

Non sembra questo, il presunto intorpidimento delle intelligenze causato da internet, il punto dolente e critico. Piuttosto si deve constatare che nell’educazione e nella vita comune la diffusione delle tecnologie informatiche ha riflessi pesanti e negativi sul rapporto delle persone con il lavoro, la produzione, l’impiego del tempo libero, per chi ne dispone, e la stessa fisicità e naturalità.

La fuga dalla manualità e dal lavoro fisico, che aveva e ancora ha ragioni nelle condizioni di sfruttamento estremo della manodopera nella produzione in tanta parte del mondo, si va estendendo ad altri ambiti del vivere.

Della diade mano e parola il primo termine della coppia è il più minacciato.

Cresce a dismisura la possibilità di dominio delle informazioni veicolate da parole, simboli, cifre, immagini, ma questo non compensa la riduzione di esperienze dirette col fare e con la realtà naturale entro cui comunque si è collocati.

Lo squilibrio a danno di esperienze primarie, dirette, a vantaggio di esperienze indirette, riflesse, simboliche, appare particolarmente grave per vita, crescita, educazione dell’infanzia.

Nell’educazione è certamente possibile praticare un maggiore equilibrio tra crescita delle capacità verbali e intellettuali e corporeità, fisicità, rapporto con quella natura di cui siamo parte.

Ma la possibilità passa attraverso un riassetto e ripensamento dei modi di vita complessivi, ben oltre le pareti delle aule e però, a vero dire, a cominciare dalle pareti stesse, dall’abbandono di scuole edificate come scatola e caserma in mezzo al tessuto urbano.

Questo vale per molti paesi, ma in Italia in misura particolare a causa della lunga e miope (o mal lungimirante) disattenzione se non spregio che per lunghi tratti della storia nazionale, salvo brevi stagioni come il primo decennio del Novecento, ha circondato l’istruzione e la formazione.

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