Bruno Zambardino - Monica Sardelli

 

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Il concetto di mezzo di comunicazione utilizzato per manipolare le coscienze si addice a mezzi di tipo broadcasting, come la televisione, in cui l’informazione viene trasmessa secondo la tipologia “da uno a molti”.

Molti teorici delle comunicazioni di massa hanno ipotizzato gli effetti dei cosiddetti mass media sulle menti degli individui: la televisione era un media giovane quando, a cavallo degli anni ‘60 e ’70, Gerbner metteva a punto la sua “Teoria della Coltivazione” su come la tv influenza la nostra percezione del quotidiano.

L’”Agenda setting” andava oltre, ipotizzando come la comprensione della realtà sociale di gran parte degli individui sarebbe influenzata dall’ordine e rilevanza delle notizie trasmesse dai media (Shaw, 1979).

Le nuove tecnologie, in poco più di un ventennio, hanno modificato il rapporto tra utenti e media: difficile pensare oggi a “masse inermi”, in un epoca in cui gli utenti sono continuamente in grado di modificare i processi di fruizione delle informazioni.

Lo dimostra la viralità con cui si diffondono notizie anche provenienti dal basso scavalcando i tradizionali processi di diffusione delle informazioni. Il concetto di “uno a molti” viene ribaltato da quello di Long Tail (Anderson, 2004) in cui i pochi grandi player un tempo detentori quasi esclusivi dell’informazione, vengono affiancati da una coda lunga di piccoli attori tutti con una propria audience piccola e targettizzata.

In altre parole la rete permette a chiunque di dire la propria opinione, rende possibile ricercare le proprie informazioni navigando tra una pluralità di fonti, ne permette il fact checking, permette a chiunque di diventare detentore di una notizia grazie ai blog e ai social network etc., permette quello che viene definito citizen journalism.

È chiaro che la rete nasconde grandi insidie: non agevolano regole poco chiare e condivise in materia di privacy e non è escluso il rischio di rinchiudersi in quella che Parisier (2012) ha definito “La bolla dei filtri” secondo la quale Internet, illudendoci di navigare in libertà, ci introduce in percorsi che sono stati creati appositamente per noi, finendo per cancellare il nostro senso critico secondo quella che Morozov (2011) definisce “l’ingenuità della rete”.

E da queste insidie vanno protette soprattutto le classi più deboli come i minori.

D’altro canto si sta diffondendo un uso sempre più consapevole di Internet: in particolare i cosiddetti nativi digitali sono in grado di districarsi tra la mole di informazioni che trovano e diffondono in rete, con una grossa dimestichezza nell’operare in multitasking e utilizzando più schermi.

Forze politiche ed economiche più potenti tenteranno sempre di influenzare l’opinione pubblica, ma il pubblico di oggi è attrezzato (o si sta formando per esserlo) per affrontare tali poteri (Rheingold, 2013).

Il timore (giustificato) che la rete possa nascondere insidie, ricorda molto quello che infervorava i teorici dei mass media di 50 anni fa.

Resta comunque imprescindibile la necessità di guidare e apprendere un uso critico e consapevole di Internet.

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