Marcello Veneziani

 

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Internet è uno straordinario mezzo che accresce, migliora e potenzia la nostra possibilità di conoscere, di comunicare e di essere nel mondo. Ma al tempo stesso è uno straordinario mezzo per farci perdere il senso della realtà, il senso critico e le relazioni vive col mondo, la storia e il futuro.

La tecnica, si sa, espande le nostre possibiltà di salvezza e di rovina, di conoscenza e di errore. Ma non per questo può definirsi uno strumento neutro nelle mani dell'uomo. Se non viene commisurata alla vita e al pensiero dell'uomo, la tecnica cresce alle spalle dell'uomo, della sua dignità e della sua libertà di decidere.

Non è neutra, dunque, ma può essere neutralizzabile. Richiede però un supplemento di giudizio e di responsabilità, una capacità di lettura e di far fruttare le sue grandi possibilità. Non credo che esista una specie di complotto mondiale da parte di grandi gruppi per influenzare tramite internet e creare nuove schiavitù e nuove dipendenze; non mancano certo propositi egemonici, tentativi di sfruttamento e di plagio, ma non credo alla grande macchinazione.

Credo piuttosto, con Carl Schmitt alla”reazione a catena” ovvero a una sorta di automatismo (che è poi la peggior forma di asservimento, peggio dell'autoritarismo a cui ci si può perlomeno ribellare) che ti fa vivere come ineluttabile, inevitabile, incriticabile le procedure della tecnica o quelle della finanza. Ma il cui centro di potere è vuoto, anonimo, impewrsonale, e s'identifica con la MegaMacchina. 

Si può davvero dire che i mezzi si sostituiscono ai fini, e si costituiscono in scopi, subordinando l'umanità all'espansione della tecnica e della finanza; la vita reale dei popoli e delle persone soccombe agli assetti contabili e tecnologici, al debito sovrano e alla tecnica regina.

Il medium non è tutto il messaggio, come pensava McLuhan ma è certamente parte attiva e non neutrale del messaggio. Perchè un messaggio non è fatto solo del suo contenuto ma anche del suo contenitore, del contesto in cui si situa, della condizione psicologica e storica del mittente e del ricevente, del modo, del luogo e del tempo in cui viene veicolato.

L'impressione è che nella nostra epoca cresca quello che Gunhter Anders definì il dislivello prometeico, ovvero la crescita della tecnica va di pari passo con la decrescita della cultura, e dunque si crea un dislivello tra l'espansione dei dati e delle opportunità e la contrazione delle capacità di interpretarli e filtrarli.

Non è un caso che sia statisticamente accertata la diminuzione delle ore dedicate alla lettura e alla riflessione, si sia impoverito il nostro lessico, si sia indebolita la nostra capacità di concentrazione.

E i recenti dati OCSE confermano che questo degrado occidentale ha nell'Italia la sua punta più avanzata. Tutto questo mentre acquisiamo una padronanza tecnica straordinaria, navighiamo su internet e usiamo strumenti anche linguistici fino a ieri impensabili.

Conosciamo più lingue, ma si tratta di conoscenze basiche, rudimentali, che banalizzano la realtà e rigettano ogni distinguo. Sono i due versanti dell'internettizzazione, il lato luce e il lato ombra.

Qualche anno fa, in un mio libro, parlai della figura dell'idiota globale che dispone di grande capacità tecnica di comunicare col mondo ma poi non sa cosa dire, perchè ha un tessuto di esperienze di vitali, di pensieri e di conoscenze così ridotto e così appiattito sul web da ridurlo a un linguaggio di segni senza idee, senza vita, senza storia. Il problema è che internet è una connessione orizzontale che ci consente di collegarci col mondo circostante in tempo reale; ma per giovare occorre poi una connessione verticale, che un tempo si chiamava tradizione, e che fa pendant con la trasmissione, perchè ci collega al passato e al futuro, e ci apre ad altri piani trascendenti, simbolici e immateriali, rispetto all'immediata evidenza delle cose, al basic istinct, agli impulsi e alle emozioni.

In altri termini internet funziona se il collegamento non è solo tecnologico ma teleologico, se non è solo strumentale e procedurale ma comunitario, sociale, intellettivo e culturale, ovvero se si riannoda a un solido e vivo patrimonio (background) di saperi (data base), ad un dialogo incessante tra le generazioni e non solo tra gli individui e le loro solitudini, ad un linguaggio condiviso. Non si può vivere di solo presente, la ricchezza del presente è data anche dalla memoria storica e affettiva e dall' “attesa ponderata del futuro” (Kant).

E' auspicabile che sul piano mediatico vi sia un politeismo di forme comunicative: internet e il web ma anche libri e giornali, gli sms e le mail ma anche gli incontri de visu e le relazioni vive, i video ma anche la tv, i social network ma anche le comunità di anime e corpi, di carne e pensiero.

Il pericolo maggiore nella nostra epoca non è dunque il dispotismo ma l'automatismo, perchè non si limita a limitare la nostra libertà, la nostra intelligenza e la nostra dignità, ma le espianta come insensate, inservibili, di troppo. Allora sì che la rete si trasforma in una mortale ragnatela e l'uomo si riduce al suo dito che toccando, esercita il “sapere digitale”.

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