Le parole e i significati
Il tema proposto è intrigante. Tante sono le domande che possono sorgere e tante (e problematiche) le risposte che si possono dare. C’è però una questione basilare che fa da sfondo a ogni quesito possibile: la definizione delle parole che vengono utilizzate in questo contesto.
Se non le chiariamo, facciamo un gran parlare a vanvera. Tale aspetto costituirà il focus di questo mio breve scritto.
La sensazione che ho è che i vocaboli spesso non riescano a esprimere i concetti che abbiamo in testa o comunque creino un po’ di confusione. Già il titolo evidenzia due termini, “conoscenza” e “sapere” che essendo citati entrambi evidentemente per Mario Capanna non identificano la stessa cosa. Incredibile ma vero, non sono sinonimi pur non essendo contrari, sono due parole raminghe, allo sbando e senza casa: non pagano l’IMU ma perdono identità. Inoltre, nelle note, è riportata una frase di Eraclito che afferma: “L’erudizione non istruisce – ou didaskei - l’intelletto”.
Perbacco! Oltre alla “conoscenza” e al “sapere”, salta fuori anche l’”erudizione”. Un bel trittico, non c’è che dire. E che differenza c’è fra i tre componenti? Capanna non fa citazioni a caso e probabilmente trova in Eraclito un supporto alle tesi che ha in mente di esporre e ai concetti che vuole esprimere.
La frase dell’efesino però presta il fianco a qualche critica. Mario giustamente osserva che le traduzioni dal greco lasciano in genere molto a desiderare (dice così perché non ha mai visto le mie traduzioni dal latino…).
Il motivo è semplice: i vocaboli ellenici sono in genere molto ricchi di sfumature e i termini italiani - non corrispondendo esattamente - non sono in grado di rendere chiari fino in fondo i concetti espressi nell’originale.
Tuttavia noi dobbiamo fare i conti con l’italiano e se mi fermo alla frase tradotta, mi viene spontanea una domanda: cosa intendeva Eraclito per “erudizione”? Dire che l’erudizione non istruisce l’intelletto cosa significa? L’unica quadratura che trovo è attribuire al vocabolo “erudizione” il senso di quello “studio mnemonico” che sconfina nel “nozionismo” e che rappresenta una forma di apprendimento in grado sì di renderci abili nell’affrontare con successo le parole crociate o una partita di Trivial Pursuit, ma che non allena la mente all’esercizio della critica (e quindi non “istruisce” l’intelletto).
Tale processo può anche essere definito “indottrinamento” o “memorizzazione” secondo le sfumature che si vogliono evidenziare.
Non credo di essere lontano dalla verità. Del resto, un simile senso, da Eraclito, possiamo anche aspettarcelo. Uno che era talmente pignolo da sostenere che non si bagnava mai due volte nello stesso fiume non può avere usato le parole a caso. E inoltre, anche se “tutto scorre”, le parole restano, a maggior ragione se scritte.
Per carità, è anche vero che pretendere chiarezza dall’”oscuro” è come chiedere coerenza a Scilipoti ma Eraclito era pur sempre un filosofo della prima ora e come tale aveva a cuore il concetto di “pensiero razionale e critico”.
Pertanto mi viene da pensare che “istruire l’intelletto” rappresentasse per lui proprio l’allenamento a tale compito, un quid che l’erudizione - concepita nel senso sopra riportato - non era e non è in grado di dare.
Dopo questa citazione Capanna esprime un pensiero che non esito a definire “perimetrale”, nel senso che mi pare voglia un po’ tracciare i confini entro i quali sviluppare l’analisi del contesto digitale: “l’erudizione, non alimentando la mente, la atrofizza. E’ la conoscenza, non l’erudizione che vivifica l’intelletto. E il sapere è molto più del conoscere.”
E’ una frase da prendere con le pinze. La proposizione iniziale “L’erudizione, non alimentando la mente, la atrofizza” ripete con altre parole lo stesso concetto espresso da Eraclito e del quale ho già detto; la successiva “E’ la conoscenza, non l’erudizione, che vivifica l’intelletto” è un’affermazione da codice rosso che opera un distinguo tra “conoscenza” ed “erudizione”, mettendole (credo illecitamente) in contrapposizione; mentre la terza asserzione “E il sapere è molto più del conoscere” rincara la dose di caos contrapponendo alla “conoscenza” il “sapere”.
Le domande a questo punto sono d’obbligo: quali sono le differenze tra tutte queste voci? Che cosa vuol dire “conoscere”? Che cosa vuol dire “sapere”? Di fronte a questa diatriba mi sono ritrovato in una selva oscura ché la dritta via era smarrita.
Persino Dante, che passava di li – non so quanto casualmente - ha preferito pensare a Beatrice invece di darmi una mano per cercare di risolvere la questione. Non me la sono sentita di dargli torto. Ora, lasciando per un momento da parte l’erudizione, che differenza c’è tra “sapere” e “conoscere”? Ho cercato aiuto in molti testi ma ho trovato solo gran confusione.
L’unica soluzione interessante mi è stata suggerita dal Prof. Pierluigi Amietta, discepolo di Silvio Ceccato e sostenitore della tesi della “mente operativa” (logonica): “il conoscere è un atto (mentale) mentre il sapere è uno stato (mentale); potremmo porre le due cose (conoscere e sapere) in un rapporto di causa-effetto, che vede cioè il sapere come risultato consecutivo al conoscere”.
In questo senso anche l’erudizione sarebbe figlia del “conoscere” e rappresenterebbe un “sapere” (o una “conoscenza”) poco utile per la crescita delle capacità critiche della mente. Per quello che riguarda il “conoscere”, appare quindi diverso considerare il verbo o il sostantivo e “conoscenza” può essere tranquillamente considerato un sinonimo di “sapere”.
Che cosa bisogna coltivare allora, per istruire l’intelletto nel senso che intendeva Eraclito? La risposta è semplice e non è una questione di conoscenze specifiche. Il “sapere” che bisogna “conoscere” (assimilare, imparare) è in realtà una summa di consapevolezze; coscienza del libero pensiero, frequentazione dell’arte del dubbio, abitudine a fare e a farsi domande (una pratica, quest’ultima, che deve superare di gran lunga la seduzione di possedere delle risposte), tutte cose che nel loro insieme determinano un ensemble che possiamo battezzare “riflessione critica” con cui bisogna familiarizzare quanto prima.
Direi che fin dalle scuole elementari occorrerebbe istituire dei corsi di “educazione critica” e aggiungerei che l’insegnamento dovrebbe avere tale obiettivo come priorità. Sicuramente Internet non può fornirci questa capacità, essendo solamente un’immensa banca dati contenente una sconfinata massa di informazioni. Se non abbiamo la capacità critica di valutarle e selezionarle (attitudine coltivata per altre vie) non sapremo mai utilizzare a nostro vantaggio, fino in fondo, la potenza straordinaria della rete e non riusciremo ad attribuirle un senso importante.
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