Giovanna Cosenza

 

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Chi ha un blog sa bene cosa vuol dire, sul Web, l’ossessione del link. Vuol dire che ogni tanto arrivano mail come questa: «Gentile Giovanna, complimenti per il blog eccetera.

Anch’io ne ho uno: lo trovi all’indirizzo eccetera. Facciamo uno scambio di link?».

Tutta colpa di Google e del PageRank, l’algoritmo che calcola l’importanza di una pagina web in base al numero di link che vi puntano: più la pagina è linkata da altre, più conta, nel senso che aumenta la probabilità che chi fa una ricerca su Google la trovi fra i primi risultati.

Inoltre, se il link che porta a quella pagina proviene da un’altra che a sua volta è molto linkata, esso vale di più, e così via. In poche parole è come se a ogni link corrispondesse un voto, un punto di qualità per la pagina linkata.

In realtà il funzionamento di Google è molto più complicato, ma ciò basta a spiegare perché i gestori di blog e siti se ne inventino di tutti i colori per moltiplicare i link in ingresso.

L’idea originaria di Sergey Brin e Larry Page, fondatori di Google, era che se una pagina è molto linkata vuol dire che molte persone la trovano interessante.

Idea non peregrina, visto che anche nel mondo accademico gli articoli scientifici hanno tanto più credito quanto più sono citati da altri: fu infatti al mondo accademico che nel 1998 Brin e Page – all’epoca dottorandi a Stanford – si ispirarono per mettere a punto il PageRank.

Il problema è che non sempre ciò che le persone segnalano è davvero intelligente e interessante.

In università, per esempio, gli articoli dei cosiddetti «baroni» sono spesso citati solo per piaggeria. Oppure perché, se tutti li citano, forse ci sarà un motivo, e allora si cita tanto per citare, anche senza aver letto l’articolo.

Inoltre, fuori dal mondo accademico (e a volte anche dentro), le persone possono trovare interessanti alcune porcherie: dalle barzellette trash ai siti pornografici, dai cinepanettoni al pettegolezzo maldicente.

D’altra parte, che la quantità non facesse la qualità si sapeva già prima del Web: succede nel mercato di massa, dove il prodotto più venduto non è per forza il migliore; succede in televisione, dove l’Auditel non premia sempre i programmi di qualità; succede pure in democrazia, dove la maggioranza non vota necessariamente il governo migliore per un paese.

Non si vede perché, allora, quantità e qualità dovrebbero coincidere su Internet, se altrove non si dà.

Eppure sul Web, più che altrove, facciamo come se qualità e quantità coincidessero. Cosa che potremmo pure sopportare, in fondo, come più in generale sopportiamo i problemi del mercato di massa, della tv e della democrazia.

Ma negli ultimi anni l’ossessione del link è andata molto oltre la necessità che il proprio sito sia facilmente reperibile su Google, perché ha contagiato anche chi un sito non ce l’ha.

Da quando esistono i social network, infatti, l’ossessione del link è diventata ossessione per il numero di «amici» su Facebook, di «contatti» su Linkedin, di «followers» su Twitter, e via dicendo.

Anche se di fatto un maggior numero di questi link non dà al profilo che li possiede nessun vantaggio di reperibilità né di maggiore visibilità, la sensazione diffusa in questi ambienti è che una persona sia tanto più importante quanti più contatti ha. Che sia più cercata, benvoluta. Che faccia più tendenza. Mentre chi ha soli 50 o 100 link, be’, forse allora è un poveretto.

Non sto dicendo che gli «amici» di Facebook non siano «veri amici», come gli apocalittici della rete amano ripetere: anche fuori da Internet quelli che chiamiamo «amici» non sempre lo sono, e viceversa gli amici veri si trovano pure su Facebook. E neppure sto dicendo che dobbiamo sottrarci alle dinamiche della rete, visto che Internet è un fattore imprescindibile per l’alfabetizzazione e lo sviluppo di un paese e più persone accedono alla rete, meglio è, sempre e comunque.

Dico solo che a volte l’ossessione del link ci prende un po’ la mano. Perciò è il caso di chiederci se tutta questa moltiplicazione abbia senso per noi, oltre che per il nostro sito o profilo sul Web.

Magari trovando la voglia, il tempo e l’energia per andare a vedere la pagina da cui proviene un link e il profilo che sta dietro a un «amico».

Per trasformare il link da punto di merito a occasione di approfondimento.

E a volte, perché no, di vera amicizia.

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