Stefano Lucidi

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Esistono solo 10 tipi di persone al mondo. Quelli che conoscono il sistema numerico binario e quelli che non lo conoscono.

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Non abbiamo ancora esaurito le discussioni pitagoriche, circa l'immersione, dell'elettronica e dei computer nella società industrializzata che siamo stati rapiti dal dibattito su Internet e le sue proprietà.

Paradosso tutto contemporaneo! Si discute di un fenomeno così rapido nel manifestarsi e veloce nell'evolversi tanto da lasciarci senza conclusione, permettendoci solo di aprire una nuovo dibattito - un frattale sociologico, culturale e tecnologico?

Forse no. Se il frattale è un algoritmo omotetico, che riproduce se stesso, allora il web - sottoinsieme di internet - nasce dell'elettronica e dai suoi grandi paradossi, che amplifica e declina in nuove forme spazio-temporali. In qualche libro di elettronica stava scritto: il computer è l'ultima macchina inventata dall'uomo. Non svolge nessuna funzione in particolare, ma può svolgere tutte!

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La rete è un media lo sappiamo.

Vale la pena citare Daniele Pittèri - Democrazia Elettronica:

Internet, in particolare, è si una piattaforma costituita da tecnologie sottostanti - PC, reti, protocolli, utenti, data-base, ma è anche un artefatto culturale la cui esistenza sociale e politica è assolutamente indipendente da quelle componenti. Ha introdotto modalità di relazione fra persone sconosciute prima e, in ciascuna di esse, abitudini nuove; ha reso raggiungibile l'inaccessibile, ha ampliato il senso della post-modernità, smaterializzando i corsi di accesso al sapere, alla conoscenza, sempre difficoltosi prima, liberandoli dai vincoli materici, spaziali e temporali che li ingabbiavano (le biblioteche, gli archivi, gli schedari: percorsi, entrate, orari, procedure, riproduzioni, attese, ritorni), infine virtualizzando e sintetizzando gli atti, ma amplificandone la portata e la valenza dei risultati.

È indubbio che la condivisione del pensiero, della conoscenza, della cultura in maniera virtuale, quindi online, determina uno spostamento del baricentro culturale della società, che se in tempi classici poteva essere identificato ad esempio con il filosofo, con la biblioteca, con l'Università e con il professore-luminare, ora deve essere necessariamente inquadrato da un punto di vista collettivo e sociale.

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La nuvola. Quello che inizialmente poteva difficilmente essere prevedibile è che la massa critica culturale che rimane intrappolata nella rete non è localizzata ma ubiqua e disponibile. sempre. Il cloud è il nuovo baricentro culturale globale e condiviso. Ancora più in dettaglio. La possibilità di avere, sempre, ovunque e immediatamente una risposta ad una domanda, innesca apparentemente da un lato un impoverimento personale diminuendo il proprio bagaglio culturale, mentre alimenta di fatto la massa culturale globale.

Nella affermazione precedente si è usato non a caso il termine apparentemente, perché di fatto la disponibilità di risorse online costante, apre le porte dell’ignoto e lascia invariata la sete di sapere personale. In altri termini, mentre fino 100 anni fa una persona di media cultura aveva accesso limitato al sapere che non afferiva alla sua sfera, oggi, si può a ragione ritenere che sia straordinariamente più semplice non detenere, ma piuttosto accedere alla cultura ed al sapere.

Proviamo ad immaginare quante volte in passato occorreva rivolgersi ad un tecnico o un professionista per sapere, conoscere o consultare una fonte autorevole.

È ovvio che oggigiorno questa distanza kafkiana si assottiglia e arriva a diluire il sapere all'interno della società, della collettività.

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Ancora Pittèri ci dice:

La "rete" prima che un dispositivo tecnologico, è una dimensione della realtà, ne costituisce la forma, la struttura su cui essa si basa, e, al tempo stesso, la modalità di relazione di azione per orientarsi in un contesto sociale disarticolato, propenso al mutamento costante, fluido ma poco lineare, anch'esso reticolare. Le tecnologie di rete sono parte integrante di questa dimensione e sono anch'esse connotate da una doppia natura: da una lato, canale di comunicazione per far interagire individui e gruppi; dall'alto, ambiente sociale in cui "vivono" e si sviluppano i rapporti economici, politici e culturali e in cui si configurano i "luoghi" decisionali.

Ecco allora che dall'elettronica che semplifica la tecnica e rende complessa l'economia e la gestione ambientale, si passa all'internetica che comprime la cultura personale mentre amplia quella collettiva.

Ma non solo. Stefano Rodotà dice:

Attraverso le nuove tecnologie è possibile ricorrere all'insieme di tutti questi strumenti, dando luogo a una forma di democrazia che non nega quella rappresentativa né quella diretta, ma che neppure le sintetizza, poiché si pone sul piano nuovo e differente di uno "spazio costituzionale di interazione fra l'attività dei cittadini e quella delle istituzioni" garantita dalla possibilità tecnica per tutti gli appartenenti a una comunità di essere presenti in tutte le fasi dei processi politici e amministrativi.

Il valore assunto dal mezzo è talmente alto da divenire un bene comune, da tutelare costituzionalmente. Questo aspetto avvalora l'ipotesi che il nuovo media sposta il baricentro culturale verso un sistema collettivo.

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Il fenomeno non deve essere banalizzato, ma rispettato ed analizzato con strumenti semantici adeguati. Occorre se necessario legare questi fenomeni anche a categorie ben più delineate e individuate storicamente. Il mezzo tecnicamente nuovo, veicola modalità relazionali e comportamentali vecchie. Ma anche di più. Riscopre classi sociali oramai sopite nel delirio consumista. Chi è, o meglio, chi sono gli attori di questo spostamento del baricentro culturale?

Pittèri struttura l'affermazione in maniera rigorosa:

Una nuova classe, creativa e dominante, in cui si fondano le capacità diverse - creatività culturale e artistica con creatività tecnologica ed economica, che non possiede ne controlla beni e proprietà materiali, ma che ha trasformato in potere gli assets intangibili di cui dispone (i concetti, le competenze, le concessioni, le conoscenze), così come l'aristocrazia prima e la borghesia poi avevano fondato la propria egemonia rispettivamente sul possesso della terra e sul controllo dei mezzi di produzione. Questa nuova classe creativa, che fonda il proprio potere "sul patrimonio intangibile costituito nella propria testa" ha una forte tendenza a estendere tutti i dispositivi della proprietà privata anche al patrimonio immateriale che detiene e che ne determina il potere, assoggettandoli, in qualche modo, al principio di scarsità della materia prima e dei beni primari che governa il mercato.

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La classe sociale creativa non è un artificio semantico, né tantomeno un esercizio linguistico. La classe creativa è reale ed operativa. Produce e condivide. E nella condivisione trae la sua forza vitale. Le comunità open source creano oggetti immateriali dalla sintesi di una intelligenza diffusa sul pianeta, che condivide strumenti e risorse.

Tanti collaborano, tanti decidono. La massa critica che partecipa è alta e competente e la sintesi non può che essere tendenzialmente perfetta.

Basti pensare al sistema operativo Linux utilizzato in applicazioni critiche per la sua affidabilità, a scapito di sistemi commerciali, sviluppati da poche persone e in pratica inaffidabili. Il fenomeno sembra inarrestabile.

Se inizialmente sembrava possibile che open source fosse solo una metodologia applicabile al software, oggi troviamo soluzioni open in svariati ambiti.

Il progetto Arduino, schede elettroniche il cui hardware e software sono completamente aperti e condivisi. Le aziende gestite secondo la tecnica leaderless. I movimenti politici legati alla rete, pirati, 5 stelle, i vari Occupy. Tutti condividono il paradigma open. Tutti nascono e convivono in rete.

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