Quantità e libertà
Internet mi fa pensare, alla massima potenza, al complicatissimo rapporto tra quantità e qualità nella società di massa. La quantità, nel web, è smisurata, un oceano infinito di dati, notizie, opinioni, dicerie, fole...
Perché da questo magma si generi qualità, cioè conoscenza, è necessario attivare forme di giudizio e di selezione. Credo che anche il meno avveduto dei navigatori lo sappia, o almeno lo intuisca: non tutto, in quel mare immenso, è utile. Sono molti gli inganni, i miraggi, le illusioni. E le perdite di tempo.
Di una navigazione orizzontale, dispersiva ma affascinante proprio per la sua smisuratezza e velocità, ha scritto Alessandro Baricco nei Barbari, mettendo in guardia contro la presunzione (conservatrice) di considerare immutabili i criteri classici dell'apprendimento e della formazione culturale. Tra questi criteri il più radicato – il più classico – è l'approfondimento. La capacità di approfondire. Restando nella metafora nautica: gettare l'ancora e sondare, scandagliare, perlustrare in profondità.
Più facile (più frequente?) è rimanere in superficie, specie se è una superficie vastissima, luccicante, tentatrice come l'oceano web. Ma non è detto – dice in sostanza Baricco, e mi scuso se ne semplifico il pensiero – che ciò che è diverso, e nega la tradizione, sia perciò stesso peggiore (o migliore). E' diverso e basta.
Impareranno a loro spese o a loro vantaggio, i nuovi navigatori, le nuove generazioni, a individuare una rotta e a tenere la barra diritta. Anche grazie al web, alle sue grandi comunità e tribù transnazionali e transculturali, nasceranno nuove identità, nuove psicologie, nuovi strumenti di vaglio e di giudizio.
Immagino che i frequentatori più assidui della rete ne siano anche diventati gli utilizzatori più accorti. Che insidie che a me paiono tremende (un esempio per tutti: la diceria pervasiva, la metastasi della maldicenza) siano per loro facili da evitare.
Da questo punto di vista non c'è dubbio che ci sia un gap generazionale tra i nativi digitali e le generazioni precedenti. Non ho più a disposizione abbastanza tempo per ridisporre i miei neuroni (quelli che mi rimangono...) secondo i nuovi assetti necessari per vivere dentro il web da persona libera, che lo padroneggia, e non da schiavo che lo subisce. E' un'esperienza che mi sovrasta, che lascio volentieri a chi viene dopo di me.
Da vecchio (sedicente) saggio, la sola raccomandazione che mi sento di dare è quella iniziale: non illudersi mai che la quantità di dati a disposizione, e la straordinaria facilità di accesso, siano di per sé cultura, o se non vi piace questa parola, siano di per sé libertà.
Il problema del criterio di scelta e della selezione rimane comunque, sia che la conoscenza proceda in profondità sia che proceda orizzontalmente. Di più, rimango convinto che il web, per essere sempre più utile ai bisogni umani, e dunque “politico” nel senso più alto, debba formarsi inevitabilmente una propria “classe dirigente”: concetto che confligge, mi rendo conto, con il mito della democraticità assoluta della rete, una democraticità presunta “naturale”, ovvero insita nella natura stessa della rete.
Per classe dirigente intendo una serie di persone, o di luoghi mediatici, che dimostrino capacità di giudizio e di orientamento, diventino punti di riferimento, di verifica, di autodifesa. Dei quali, come si dice comunemente, “ci si possa fidare”, e ai quali ci si possa affidare.
Nasceranno – come accadde per le università, per i partiti, per i giornali – autorevoli agenzie virtuali attraverso le quali sentirsi meno sperduti e meno soli in quel mare magnum.
L'organizzazione del sapere passa sempre e comunque per la socialità, per la messa in comune del patrimonio culturale. Quando anche il web avrà generato (sta già generando?) i suoi Maestri, i suoi cenacoli, le sue scuole, vorrà dire che è passato dallo stato magmatico, di caos nascente, allo stadio della civiltà.
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